Le tante analogie fra “Roma senza papa” di Guido Morselli e la serie “The young Pope” del regista premio Oscar. Il romanzo è ironico e sorprendente, si sviluppa su più livelli, ha una prosa ricercata e a tratti ardua. E quel canguro…
Roma senza papa è un romanzo di Guido Morselli, pubblicato postumo nel 1974 da Adelphi. La fantasia dell’autore all’epoca si spinse fino ad immaginare un Vaticano molto diverso da quello attuale (trattasi di ucronia, cioè una storia ambientata in un futuro alternativo) con i preti liberi di prendere moglie e la sede papale spostata in una villetta a schiera di un piccolo paesino del Lazio (da qui il titolo).
La prosa è ricercata e a tratti ardua, in linea con ciò che ci si aspetta dall’io narrante, un teologo svizzero che trascorre qualche giorno a Roma, nei luoghi della sua giovinezza, in attesa di essere ricevuto dal papa, Giovanni XXIV. Ed è proprio la figura del papa, nel libro marginale, ad avere ispirato – ne sono convinto – Paolo Sorrentino nella stesura della sua fortunata serie tv The Young Pope.
Come Lenny Belardo, infatti, anche Giovanni XXIV è anglosassone, e soprattutto è giovane e bello: “Dicono che abbiamo il più bel papa dei tempi moderni”, scrive Morselli. Ma le aderenze tra il romanzo e la fiction (di cui è già in preparazione la seconda miniserie che avrà per titolo The New Pope) non finiscono qui: così come il papa di Morselli, anche quello di Sorrentino fuma e gioca a tennis (o quantomeno, in una sequenza mostra una certa confidenza con racchetta e pallina); entrambi non amano mostrarsi in pubblico e non amano attraversare paesi e continenti (“papa invisibile che non fa discorsi e non viaggia” scrive ancora Morselli); entrambi tagliano i costi della Chiesa, rompono gli schemi, talvolta frantumano tradizioni millenarie; entrambi sostengono che fra Dio e l’umanità “i doveri sono reciproci”; entrambi apprezzano la compagnia femminile – senza malizia – e hanno in una donna il principale consigliere spirituale (scelta che non può non alimentare chiacchiericcio); entrambi, infine, amano gli animali: si fa riferimento addirittura a un canguro nel romanzo, esattamente come nella fiction di Sorrentino, anche se il ricorso all’immagine e le finalità sono molto diverse.
Un romanzo ironico e sorprendente, non facile, che si sviluppa su più livelli, come la fiction del geniale regista napoletano. Mi piace pensare che proprio l’ultimo dettaglio – il canguro – sia stato l’omaggio di Paolo Sorrentino a Guido Morselli, morto suicida prima di vedere pubblicate le sue opere.