Un libro propedeutico alle grandi opere di Dostoevskij, la storia di un modesto funzionario zarista che prelude alla crisi del Novecento e al romanzo esistenzialista
E meno male che dichiarava di non aver tempo per scrivere e di avere la testa altrove in quel tragico 1864, che oltre alla prima moglie Maria Dimitrevna gli porterà via in pochi mesi anche l’amato fratello Michail e il fido collaboratore Apollon Grigor’ev. Ecco invece, con Memorie del Sottosuolo (130 pagine, 8 euro) la confessione di “un uomo malato…un uomo cattivo, un uomo sgradevole” i cui contorcimenti e le domande di inetto e modesto funzionario della Russia zarista anticipa la crisi di quello del secolo successivo, di tutti i secoli, degno di ogni romanzo esistenzialista. Un uomo in eterna tensione con le domande irrisolte e a cavallo fra due mondi, quello oggettivo e reale di ciò che lo circonda e quello interiore di un “antieroe” che annaspa e cerca una qualche redenzione, un’illuminazione per fuggire dalle proprie nevrosi, con le solite eterne domande sulle grandi verità e questioni umane: volontà contro ragione, azione contro inerzia, luce e oscurità, conscio-inconscio (il sottosuolo).
Monologo alla Roth o alla Bernhard… prima di loro
Tutta la prima parte del romanzo è un continuo monologo interiore che spudoratamente si offre al suo pubblico di ipotetici lettori, interrogandoli direttamente sulla stessa liceità del suo (s)ragionare (mai ascoltato s-ragionamento più lucido). Con le debite proporzioni e diverse declinazioni sembra di leggere il Philip Roth di “Lamento di Portnoy” o il miglior Thomas Bernhard.
La seconda parte (A proposito della neve fradicia) si presenta sotto forma di reminiscenza di tre episodi distinti, ed è l’esplicitazione del monologo interiore della prima. Ciò che si palesa nell’agire nel mondo del protagonista del “sottosuolo” sono la voglia di rivalsa e la gratuità del vendicare una supposta offesa subita da parte di un ufficiale per una semplice spinta in strada, anche solo per noia. Offesa destinata a non essere vendicata eppure così bramata e solo elaborata nelle fantasticherie e speculazioni del protagonista. Viene in mente “Lo straniero” di Camus, o lo stesso “Delitto e castigo”, ma senza l’azione portata a compimento, così come nel secondo episodio quando incontrando un vecchio amico di scuola e i suoi compagni, si trova vilipeso e messo ai margini ed essendo questo causa dei soliti contorcimenti ed elucubrazioni di un uomo destinato all’inazione e all’umiliazione, venendo ricacciato nel sottosuolo “schifoso e fetido”. Infine l’incontro al bordello con la prostituta Liza, una possibile via di redenzione ma che anche in questo caso si scontra con la meschinità, la vigliaccheria, la prevaricazione di un essere laido e incapace di amare.
Un uomo paranoico e sublime, candido e tremendo
Un uomo del nostro tempo, di tutti i tempi, condannato all’inettitudine, irrisoluto, candido e tremendo, paranoico e sublime, una paranoia derivante dalla iper-ricettività dei suoi sensi acuiti da una mente girovaga e indomita, una mente che freme, bipolarmente (diremmo oggi), un uomo condannato allo smacco. Sembra invitarci a guardarci allo specchio, perché i personaggi di Dostoevskij sono tutti così, carnali, vivi, assoluti. Un uomo nevrotico, incapace di amare, come noi o quasi, doppio come noi come minimo.: “ che cosa chiediamo, non sappiamo nemmeno noi che cosa e staremmo peggio se le nostre stravaganti richieste venissero accolte”.
Testo propedeutico e fondamentale del gigante russo e da consigliare a tutti coloro che si vogliano avvicinare alla inesauribile ricchezza della sua opera, perché “il sottosuolo” è quello che appartiene un po’ tutti ai suoi personaggi e solo “l’altro”, Il Cristo, dirà successivamente nei “grandi” romanzi, (ma questo non è da meno) sarà la vera possibilità di redenzione.