Inizia una rubrica dedicata ai linguaggi del sacro, anche quelli più nascosti. Nella prima puntata il ritratto dell’intellettuale francese, che ha parlato del sacro in modo così vicino al linguaggio popolare tanto da demistificarlo
Il “sacro”… Una concetto così ampio e sconfinato da lasciarci, praticamente, un campo d’azione tendente all’infinito. E l’infinito è sacro! Una categoria così differenziata nelle interpretazioni e nelle sensibilità, da permettere un orizzonte di lettura il cui unico limite è la libertà. E la libertà è sacra!
Insomma, c’è così tanto “sacro”, un po’ dovunque, da poter tranquillamente provare a scovarne i linguaggi, anche quelli più nascosti, che rendono possibile il suo mescolamento alla realtà di ogni giorno.
Cos’è il “sacro”
Ma cos’è il “sacro”, questa “cosa” che fa da contesto alla nostra piccola rubrica? Qual è la sua definizione più esatta, più vicina alla realtà? Potremmo provare a rispondere almeno in due modi.
La prima risposta sarebbe più tecnica, più legata all’etimologia, e ci suggerirebbe immediatamente che quando parliamo di “sacro” non facciamo altro che rifarci (seppure inconsapevolmente) ad un’antica radice indeuropea: “sak”, sempre connessa ad una qualche realtà che gli antichi ritenevano “essenzialmente ed incontrovertibilmente valida”, per cui tutto ciò che era “sak” sanciva tutto il resto, in quanto era perfettamente in linea con l’ordine universale delle cose, ed era talmente superiore alle idee prodotte dall’uomo (era superiore al “profano”) da diventare legge.
Dall’indeuropeo sak si arriva al latino arcaico sakros e poi al latino più recente sacer. Ma la cosa a mio avviso degna di nota è che questa radice non la si incontra solo nell’ambito delle lingue indeuropee, ma anche in quelle di origine semitica (che col ceppo linguistico indeuropeo non hanno niente a che vedere!); così, per esempio, nell’accadico “sakaru” o “saqaru”, dove il significato è legato all’idea della divinità ma anche del divieto. Questo “sacro” è dunque un concetto così antico da precedere addirittura la differenziazione dei più antichi ceppi linguistici? Forse è meglio non aggiungere altre domande… Non ne usciremmo più. Abbiamo piuttosto una seconda risposta da dare ancora, sempre sulla definizione di “sacro”.
Se la prima era più tecnica e linguistica, la seconda è più antropologica, più etologica, più legata cioè all’osservazione scientifica dei comportamenti umani, e di come i popoli e le società si siano confrontati con il “sacro”. Dovendo tracciare una oltraggiosa ma necessaria sintesi (dato che ci sarebbero pagine e pagine da poter riempire), potremmo dire che è “sacro” tutto ciò che appartiene ad un mondo dal quale siamo, per così dire, naturalmente “separati”. Il “profano”, che è il nostro ambito, è naturalmente separato dal “sacro”, ovvero da ciò che per sua stessa natura è inafferrabile, incomprensibile, indicibile. Era “sacro” il nome di Dio, che il Popolo di Israele non poteva pronunciare. Ed è “sacra” (ancora oggi) la donna mestruata, che non deve mettersi a fare le conserve di pomodoro… Alle cose abbiamo cambiato il vestito, ma la nudità dei concetti è la stessa sotto gli indumenti della nostra… civiltà. Sì, una sacralità equivocata diventa impurità invece che purificazione.
Le sfumature di “sacro”
Ora faccio un piccolo sforzo di immedesimazione, e penso: se chi legge queste poche righe vi scorge qualche elemento sufficiente a lasciarsi incuriosire, a volerne sapere ancora di più e magari ricercare con maggiore attenzione ed accuratezza tutte le sfumature legate al concetto di “sacro”, cosa potrei fare io? Potrei senz’altro suggerirgli una caterva di autori che, in un modo o nell’altro, hanno avvicinato la questione e l’hanno studiata e descritta. Si tratta in larghissima parte di studiosi del fenomeno religioso: Rudolf Otto e Mircea Eliade, tanto per citarne due, rappresentano ottime punte di diamante nel vasto universo della Fenomenologia delle religioni. Ma ce n’è uno che, un po’ per la sua galoppante e feconda immaginazione, un po’ per il suo tipico stile nel fare sintesi, ha sempre catturato la mia attenzione, e mi ha avvicinato al tema del “sacro” più di chiunque altro. Si tratta di un filosofo ed antropologo francese, René Girard, la cui genialità non è stata solo di ordine scientifico, ma soprattutto comunicativo.
Girard dalle critiche al successo
Nato ad Avignone il 25 dicembre 1923 e morto a Stanford (USA) il 4 novembre 2015, Girard dal 1943 Girard studia a Parigi, presso la Scuola nazionale di Chartres, dove si specializza in Storia medievale. Nel 1947 diviene archivista-paleografo nella sua università. Nello stesso anno va in America e raggiunge l’Indiana University, dove continua a studiare fino al dottorato in Storia, nel 1950. Ormai definitivamente collocato all’interno dell’ambiente accademico statunitense, si sposa ed ha tre figli. Ben presto assume l’ufficio di «incaricato» anche alla Duke University. Comincia ad insegnare Letteratura, ed è questo il momento in cui affina il suo metodo di indagine ed assume notorietà all’interno della comunità scientifica. Diviene assistente al Bryn Mawr College, nello stato della Pennsylvania, è nominato professore anche al Dipartimento di Lingue romanze della John’s Hopkins University, a Baltimora, dove insegna dal 1957 al 1968. In questo periodo viene pubblicato il suo primo libro (Menzogna romantica e verità romanzesca), dove espone la sua scoperta del “desiderio mimetico” e comincia una certa riflessione sul tema del “sacrificio”. Questi anni sono importanti anche dal punto di vista della fede: Girard si riconosce ormai cattolico a tutti gli effetti, e matura un profondo senso del dato rivelato cristiano, al punto che la figura di Gesù Cristo rivoluzionerà il suo stesso punto di vista quanto al tema della sua più importante riflessione, quella sul “sacrificio espiatorio”. Dal 1968 al 1975 assume alla State University di New York (Buffalo) l’incarico di professore, ma poco dopo decide di ritornare alla John’s Hopkins University. Pubblica la sua seconda opera (La violenza e il sacro), e la sua originalità gli costa, questa volta, molte critiche da parte dei colleghi e di altri studiosi. Con la sua terza opera (Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo) egli assume un linguaggio più confidenziale e popolare; questo non gli risolve i problemi in seno alla comunità accademica, ma lo avvicina al grande pubblico francese. Da qui in avanti la sua indagine sui temi legati al concetto del “sacro” sarà sempre più ricca di sfumature e più eterogenea nella scelta degli elementi di studio, consacrando Girard come l’antropologo capace di parlare alle masse, e di far conoscere ad un pubblico occasionale i grandi temi dell’antropologia. Dal 17 marzo del 2005, René Girard fu membro della prestigiosissima Académie Française , che gli concesse il seggio 37.
Girard, Gesù e la rinuncia alla violenza
Girard è riuscito a parlare del “sacro” in una maniera talmente vicina al linguaggio popolare da ottenere quella che certamente fu la sua più grande ambizione: demistificare il sacro! Ripulire, cioè, questo concetto da ogni patina di separatismo. Ha intravisto, nell’uso sbagliato della sacralità, un’arma che annienta l’uomo e che mette sempre in moto il meccanismo violento. Attraverso il modello cristiano, invece, egli ha presentato Gesù Cristo come l’esempio di quel “sacro non-violento, non-separato” che davvero rende possibile all’uomo il poter accedere all’interno di quell’orizzonte fino ad allora inarrivabile, il Sancta Sanctorum della trascendenza. Per René Girard, con Gesù Cristo è possibile accedere al “sacro” senza doversi frammentare o separare da se stessi, e senza bisogno di violenza (per esempio, senza bisogno di sacrifici cruenti o di guerre di religione), perché è il “sacro” stesso che, nella persona del Dio fatto uomo, ha caricato se stesso di violenza, stornandone l’umanità.
Per Girard, dunque, la via al “sacro” è finalmente aperta ed accessibile per coloro che intendono mettersi alla volta di una tale conquista. Quelli che intendono accedere al “sacro” possono farlo senz’altro, ma solo rinunciando alla violenza.
Una manifestazione non necessariamente eclatante
L’antropologo francese, così odiato dai colleghi e così amato dai lettori, ha avuto il merito di ideare una ricerca “originale” del sacro: la “ierofania”, ovvero la “manifestazione del sacro” non è qualcosa di necessariamente eclatante, come un fulmine di Zeus o l’uccisione di cento tori a Poseidone; al contrario, essendo il “vero sacro” scevro da ogni violenza, ed atto a manifestarsi naturalmente nella realtà degli uomini, esso è rinvenibile in ogni cosa “bella” dinanzi alla quale l’uomo possa riscoprirsi tale: capace cioè di oggettivare la realtà nella misura in cui sa restarne affascinato. Attraverso l’intelletto e lo spirito umano, che imparano a saper scorgere la bellezza nelle cose, il Mistero ineffabile del sacro si rivela continuamente senza violenza alcuna o clamore, mostrandosi semplicemente, e lasciandosi afferrare pur rimanendo Mistero.
Nel profano il “sacro” può manifestarsi
Un “sacro” che, a questo punto, ci rivela anche l’essenza di un altro concetto, tradizionalmente posto in antitesi al primo: il “profano”. È profano non tutto ciò che non ha nulla a che vedere col sacro, ma – al contrario – tutto ciò in cui il sacro può pienamente manifestarsi; è profano (lo dice la stessa etimologia del termine) tutto ciò che è fatto apposta per ricevere una manifestazione del Mistero. Se la nostra vita è profana, allora è aperta alla manifestazione del Sacro, e il Mistero la inabita pienamente.
Restituire sacralità allo spazio umano
E allora perché non cercare, attraverso questa rubrica, di farci pionieri del profano, per scorgervi il sacro anche quando quest’ultimo sa perfettamente nascondervisi? Perché non provare a scorgere un Mistero divino in tutte quelle cose ritenute sempre e solo umane? Questo sarà lo scopo della rubrica. C’è del sacro qua, c’è del sacro là, e in altri mille ambiti che non riusciremo a far passare da queste pagine. Non vuol essere una rubrica religiosa ma squisitamente umana; ma non c’è cosa autenticamente umana che non diventi sacra, religiosa, unita a quel Mistero che lega l’uomo alla sua trascendenza.
Sì, Girard era senz’altro il primo spunto da cui poter iniziare: l’uomo e lo studioso che, con la sua originalità scientifica, ha demistificato il monolitico concetto del “sacro”, per restituire sacralità allo spazio umano. Un po’ come ha fatto Rachid Boudjedra, che nel suo testo Topographie idéale pour une agression caractérisée ha trasformato il suo stile in qualcosa di aggressivo, per rendere inoffensiva la realtà.
Vedete? Chi cerca il sacro, in un modo o nell’altro, procede su una via tortuosa, sporco di sangue e con una croce sulle spalle, perché questa croce venga tolta agli altri.
Quello che viene dopo è vita, è bellezza.