La voce libera e caustica dello scrittore algerino, colpito anche da una fatwa, e un suo esemplare romanzo di oltre quarant’anni fa, “Topographie idéale pour une agression caractérisée”
Rachid Boudjedra è una delle voci più libere e caustiche del nostro tempo. Autore di numerosi romanzi, di opere poetiche, di pamphlet, di critiche, ogni sua pubblicazione non è mai passata inosservata, principalmente in Francia e in Algeria, grazie al suo sguardo critico verso il presente, alla denuncia delle ingiustizie sociali, delle convenzioni morali e religiose soffocanti. Se ne sono accorti gli integralisti dell’Islam che gli hanno indirizzato una fatwa. Boudjedra è nato a Aïn Beïda nel 1941. Il suo primo romanzo, La répudiation, gli è valso il premio Enfants Terribles nel 1970. Tra le sue opere più importanti si annoverano L’escargot entêté, La pluie, Le démantèlement, il pamplhet FIS de la haine; ha partecipato alla stesura della sceneggiatura del film Chronique des années de braise, Palma d’oro a Cannes nel 1975.
Al confine di due culture
Frequentatore sporadico dei salotti televisivi e dello star-system degli intellettuali, come lui stesso lo definisce in uno dei suoi saggi più pungenti, Lettres algeriennes, Boudjedra è uno scrittore che forse meglio di tanti altri si colloca sul liminare di due culture, quella francese e quella araba, senza per questo attuare una scelta definitiva – e nemmeno necessaria –, che si traduce nella scrittura di numerosi suoi romanzi in entrambi i codici, partendo dall’arabo per arrivare al francese e viceversa. Due sistemi linguistici e culturali estremamente diversi che entrano in contatto in un romanzo del 1975, Topographie idéale pour une agression caractérisée, testo in cui si affronta l’incontro mancato tra due mondi, quello algerino, ma potremmo dire dell’Africa in generale, e quello francese e occidentale, in una giustapposizione in cui non c’è integrazione – tema quanto mai attuale in quest’epoca di masse migranti, scontri etnici e incapacità di soluzioni da parte dei potenti del mondo.
I molteplici livelli di un romanzo violento
La storia ruota intorno ad un voyageur, un viaggiatore maghrebino che, dopo aver lasciato la sua terra e la sua famiglia per tentare la fortuna nel paese di coloro che erano stati fino a qualche anno prima i colonizzatori dell’Algeria – la vicenda si svolge nel 1973 -, trova la morte all’interno della metropolitana parigina per mano di un pugno di balordi che lo uccidono senza alcun motivo in una scena che ricorda i massacri gratuiti di Arancia meccanica, nel momento in cui riesce finalmente a trovare l’uscita da quel ventre della terra che lo aveva tenuto imprigionato nei suoi budelli per dodici lunghe ore. L’atrocità della storia trova realizzazione attraverso varie scelte stilistiche e tematiche che ne traducono la violenza. Sì, perché Topographie… è un romanzo violento a molti livelli: nel contenuto, proprio perché si assiste all’omicidio di un innocente e ad un’inchiesta sommaria in cui vengono occultate prove e dove i testimoni sono inattendibili; nello spazio, poiché i luoghi, fisici e della memoria, sembrano moltiplicarsi all’infinito pur restando sempre all’interno della metropolitana. Il voyageur subisce continue aggressioni: dai cartelloni pubblicitari, da cui spiccano corpi femminili esposti che lo turbano, dalle mappe luminose del métro e dalle luci artificiali; dal frastuono dei treni, dei lavori in corso, delle voci, degli altoparlanti; dagli odori rancidi delle persone, dei vagoni, delle esalazioni chimiche di fenolo, ammoniaca, acetilene. La violenza si traduce ancor di più nella modalità della narrazione: il lettore è costretto a compiere continui salti in avanti e all’indietro nel tempo; le frasi sembrano ora rincorrersi senza soluzione di continuità, ora spezzarsi, interrompendo bruscamente il ritmo della narrazione per poi riprenderlo vertiginosamente. Di più: l’accumulazione quasi barocca di aggettivi, di incidentali, di participi presenti, dà la vertigine al lettore e va a sommarsi all’altra accumulazione, quella delle sequenze narrative che come fiumi carsici scompaiono per poi riapparire più avanti nel racconto. Il lettore, perciò, non è a suo agio, deve assolutamente seguire e inseguire la voce narrante nei corridoi della metro e in quelli dei pensieri del voyageur che si intrecciano con i suoi ricordi.
Incomunicabilità e solitudine
La violenza di Topographie… sta anche nell’incomunicabilità che sottende tutto il romanzo, a partire dal protagonista: occhi sgranati, vestiti sgualciti, aspetto trasandato, il voyageur senza nome si aggira con la sua valigia da una banchina all’altra del métro, cercando in qualche modo di comunicare con il mondo circostante. L’impresa si rivela impossibile: la gente lo ignora o lo evita. Le mappe luminose che indicano i percorsi della metro sembrano dei flipper impazziti che non fanno altro che confonderlo e paralizzarlo. La pubblicità imperante ovunque con le immagini incomprensibili o per lui oscene lo confondono, lo ossessionano e cozzano con i dettami della sua fede e della sua cultura. Egli guarda solo le immagini, spogliate del significante impresso sui cartelloni, scritto con segni per lui incomprensibili, perché à l’envers, al contrario: nessun gioco di parole o doppio senso può intervenire ad alleggerire il loro contenuto fin troppo esplicito per la sua sensibilità. A questo si aggiunge il fatto che il voyageur sia analfabeta e parli solo il dialetto del suo sperduto villaggio. Qui, nell’inferno in cui è piombato, non riesce ad emettere che balbettii incomprensibili. L’Unica forma di scrittura che potrebbe aiutarlo è il pezzettino di carta su cui è riportato l’indirizzo delle persone presso le quali sarebbe dovuto andare ad alloggiare, e che brandisce come una spada e uno scudo, ma che si rivela inutile perché salvo in un paio di eccezioni, nessuno cerca veramente di leggervi qualcosa e guidare l’uomo fuori. Il voyageur non trova nessuno a cui poter comunicare l’angoscia che traspare dai suoi occhi, dalla sua andatura, dal suo aspetto ammaccato come la sua valigia. Egli è ridotto ad una cosa. Solo contro tutti. Solo contro la solitudine che gli si crea attorno.
Una lingua “del delirio” che va in profondità
La realtà così come è presentata nel romanzo, avvolta nelle spirali dell’individualismo e dell’indifferenza, non riesce ad andare in profondità: ci riesce invece la scrittura di Boudjedra, che con la sua forza turba il reale stantio e grottesco e lo sovverte. Attraverso l’uso spasmodico e volutamente violento della lingua, con le sue accumulazioni che abbracciano più livelli, da quello lessicale a quello sintattico, da quello semantico a quello mitico, lo scrittore crea una lingua che lui stesso ha definito “del delirio”: delirio che si realizza anche quando ci si pone ad un altro livello di lettura, quello intertestuale e che costituisce una delle caratteristiche più pregnanti dello scrittore algerino. Intere parti di Topographie… saranno infatti riprese nelle opere seguenti, romanzi o saggi, contribuendo ad arricchire di rimandi e di significati la lettura dello stesso romanzo.
Rendere inoffensivo il reale attraverso lo stile
Il mondo creato in Topographie idéale pour une agression caractérisée è sul punto di esplodere, perché non è a misura d’uomo. È solo attraverso una tale violenza della scrittura che Boudjedra può compiere la sua missione, realizzare il suo desiderio: scrivere per “attenuare il dolore del mondo”. Come una sorta di rimedio omeopatico l’aggressione dello stile sopprime quella della storia e cerca così di rendere “inoffensivo il reale”.