«Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata)» è un libro inclassificabile in cui si dimostra che gli scrittori non sono un brodino, ma devono fustigare
Il disagio, di più, l’inadeguatezza di muoversi in un mondo letterario, che forse non gli è mai appartenuto, ma che mai come adesso è distante dalla sua purezza di scrittore. Dalla provincia di Brescia, da Montichiari, pochi anni fa Aldo Busi aveva dichiarato di non voler più scrivere romanzi «perché l’Italia non mi merita». Una presa di posizione svanita più volte, perché certo oscurantismo resta, ma per fortuna anche la letteratura, quella a cui da sempre è aggrappato Busi, col suo modo debordante e sghembo, nobile e coraggioso – anche religioso – di scrivere, con la sua perenne reinvenzione linguistica e grazia estetica. Disagio e inadeguatezza, di fronte a ciò che spicciolo, ipocrita e conformista, si sentono scorrere nelle pagine di «Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata)» (173 pagine, 15 euro), suo ultimo libro (in copertina l’opera di un giovane artista siciliano, Fabio Romano) che impreziosisce il catalogo delle edizioni Marsilio.
La morte del romanzo
L’orizzonte in cui si muove questo testo è descritto dallo stesso Busi: «… il romanzo in quanto opera di letteratura (ripeto: non intenzionalmente a fini commerciali) è morto nella sua creazione perché ne è morta la ricezione […] è morta la ricezione di qualsiasi prodotto non immediatamente e visivamente e fugacemente fruibile e, purtroppo, commentabile con un testo che diventa a sua volta prodotto da commentare, in un gioco di specchi a alfabeto limitato in cui tutti appaiono al contempo». Chi è oggi Aldo Busi? Quando mancano meno di trenta pagine per finire “Vacche amiche” ci pensa lui ad autodefinirsi e a spiegare, in un certo senso, come vorrebbe essere compreso, interpretato: «… uno frugale, spartano, mite, inerme, segaiolo, carino, affettuoso e all’acqua di rose e innamorato pazzo dell’umanità come me non basta. Meglio che si facciano delle idee sbagliate che una sola idea giusta, mi sentirei scoperto e indifeso del tutto».
Aldo contro tutti
Le pagine più belle di questo libro inclassificabile – che si muove fra istantanee di vita vissuta, invettive, saggio e trattato di antropologia – ma carico di una rigorosa critica se non politica di sicuro sociale, sono quelle che dimostrano che gli scrittori non sono un brodino, ma sanno (devono) fustigare. E Busi ne ha per tutti, con i suoi periodi arzigogolati e scoppiettanti: a cominciare dalla Chiesa, naturalmente, anche dalla nuova Chiesa di papa Francesco (esilarante la finta telefonata con il pontefice, a cui fra l’altro lo scrittore chiede un milione per andare in tv, bestemmiare, ricompattare così la Chiesa e aumentare il numero di ostie consacrate) a Oriana Fallaci («coi suoi estremismi antislamici comodamenti residenti e ben riparati negli Stati Uniti, mi suscitava ribrezzo e sdegno non meno del Ku Klux Klan»), dagli eterosessuali («L’educazione sessuale dei figli, specialmente maschi dovrebbe toccare alle madri illuministe, non ai padri oscurantisti, esse dovrebbero insegnargli sin dalla più tenera infanzia come è fatto il corpo e il desiderio e l’orgasmo di una donna e inculcargli la prima condizione elementare della virilità: un uomo non raggiunge mai l’orgasmo prima della donna. Se vuole raggiungerlo prima o ancor prima, ci sono altri uomini o un modo autoregolabile del tutto infallibile. Ne avrebbero ricavato dei vantaggi non solo le donne e i figli, ma persino io») agli omosessuali («Se un uomo sa pensare a altro oltre al sesso e un gay non pensa che a quello, una ragione… un vulnus… ci sarà. Un gay è condannato a essere esplicitato una volta per tutte a causa della sua propensione sessuale, né va avanti né va indietro, è stato socialmente, politicamente e quindi sessualmente immobilizzato, dimezzato, ammutolito e ammansito, schedato e archiviato; un uomo con la stessa propensione sessuale vissuta come se nascesse dall’inalienabile e indiscutibile diritto naturale con cui ne vivrebbe un’altra resta un uomo in divenire che ha lui l’ultima parola su chi è, non , non è più e ritorna a essere se gli va. Con un uomo vado alla Festa della Liberazione, con un gay vado al massimo a dire una prece sulla stele dei Caduti come lui»).
La lezione più straziante
La lezione più straziante e vera, però, è personalissima, l’estrema confessione, l’impossibilità dell’amicizia e, soprattutto, dell’amore. Perché l’amore è ritmo, ci dice il Nostro, ed è ritmo anche la letteratura, e amore e letteratura sono ritmi incompatibili («due non potevo seguirli»), lui ha scelto la seconda. L’amore «essendo una concentrazione e non una divagazione, come il sesso, confliggeva con la letteratura e questo non potevo permetterglielo».