Paz Soldán, la Bolivia e un ragazzo nato per affabulare

Senza scardinare la tradizione, l’autore di «Rio Fugitivo»corteggia più generi senza sedurne nessuno. E sta qui la sua bellezza.

Ci sono alcuni autori, accomunati da quella madre patria che è la lingua spagnola, con la forza di rinnovare la letteratura ispanoamericana. Difficilmente si può prescindere in toto dal mondo pregresso – troppi e troppo bravi i padri – ma di volta in volta si può fare a meno dell’ombra lunga di qualche gigante come Borges, Cortazar, Vargas Llosa, Garcia Marquez e Bolaño. Negli ultimi anni fra quelli che hanno lasciato il segno – e “minacciano” di farlo ancora – ci sono l’argentino Andrés Neumann, che vive in Spagna (imperdibile il suo “Il viaggiatore del secolo”, edito da Neri Pozza), il colombiano Juan Gabriel Vàsquez (se necessario rubate il suo “Il rumore delle cose che cadono”, ancora Neri Pozza), il cileno Santiago Gamboa (specie gli ultimi due romanzi, pubblicati da e/o, “Morte di un biografo” e “Preghiere notturne”) e il boliviano Edmundo Paz Soldán, che negli anni Novanta si è trasferito negli Stati Uniti, abita a New York e insegna alla Cornell University. Ognuno di questi “giovani” scrittori, inconsapevolmente o no, interpreta il peso dell’eredità a modo suo, spesso con prove felici, frutto di una prosa fertilissima e originale, che sa sempre dove andare e raramente si smarrisce. Fra tutti l’autore boliviano è apparentemente quello che con meno forza vuole scardinare i solchi della tradizione – almeno così si capisce dai pochissimi suoi titoli disponibili in italiano.

Vargas Llosa come ispirazione

L’opera di Paz Soldán – lodata nientemeno che Vargas Llosa e che abbastanza esplicitamente al gigante peruviano s’ispira – è piuttosto vasta, ma in Italia sono stati pubblicati appena due romanzi, per merito dell’editore Fazi. Il primo, “La materia del desiderio” è purtroppo passato inosservato. L’augurio è che non faccia la stessa fine il secondo: leggendolo si capisce che, probabilmente, è l’altra metà de “La materia del desiderio”, con un protagonista adulto che ha più di un’affinità con il giovane Roberto, al centro di “Rìo Fugitivo” (468 pagine, 18 euro), alter ego poco velato dello scrittore.

L’inestricabile legame vita-letteratura

Questo romanzo, tradotto da Carla Rughetti (e con una bella introduzione di Vàzquez), è un inno all’affabulazione. E, fin qui, niente di nuovo. C’è un adolescente protagonista – con un fratello minore, Alfredo, che sembra prendere una cattiva strada e una sorella, Silvia, figlia di un precedente matrimonio della madre, che non riesce a farsi amare dal padre adottivo – attratto da sesso, alcool e droghe, sedotto dalla letteratura, che scrive storie, soprattutto poliziesche, ispirato dagli autori preferiti, in certi casi plagiati apertamente. Anche in questo caso, non un “unicum”. Il giovane Roberto, però accosta l’immaginazione al suo mondo – la Bolivia degli anni Ottanta, con i suoi scioperi a oltranza, il razzismo strisciante e l’inflazione alle stelle, vista però da una prospettiva “altra”, l’istituto scolastico cattolico che frequenta nella città di Cochabamba, realissima, non felice come quella di Rìo Fugitivo, che si capisce in fretta “dove” si trova – e inevitabilmente vita e letteratura si mescolano: Roberto si troverà a fare i conti con un delitto atroce, che vorrebbe risolvere come nelle sue storie fa il suo detective Mario Martinez.

L’unica cosa che conta? Raccontare

Questo intreccio inestricabile è la scintilla di un romanzo che corteggia più generi senza sedurne nessuno. E sta qui la sua bellezza. Le storie raccontate da Paz Soldàn potrebbero trovarsi in un giallo come in un romanzo politico o storico (ambientato com’è in un paese poverissimo, durante la presidenza Siles Zuazo, dopo una glaciazione fatta di colpi di stato e uomini forti), come in un Bildungsroman. E sprigionano passione e umanità sempre, anche di fronte a una morte tragica, elemento centrale del volume. Emozioni che sono un tutt’uno con l’unica cosa che conta davvero: raccontare. Così è inspiegabile per il giovanissimo narratore il fatto che Aldunate, il miglior giocatore di scacchi della sua classe, carico di talento sulle sessantaquattro caselle, sia «un essere senza racconti, una persona che mi era impossibile capire». Decisamente meglio l’amico Camaleòn dai baffi incipienti: «La sua vita non è molto interessante, ma lui, raccontandola, riesce a trasformarla in una serie di avvenimenti degni di essere ascoltati. […] L’esagerazione e la bugia si trasformano, grazie a lui, in licenze poetiche di alto livello, al servizio della causa più importante della narrazione. Se la vita è noiosa, non significa che dobbiamo esserlo anche noi: sta al narratore non farci addormentare, farci ricordare o dimenticare molte cose». Paz Soldàn riesce a fare tutto questo.

Questo elemento è stato inserito in Letture e taggato .

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *