“Il tuo volto sarà l’ultimo” è il più che promettente esordio dello scrittore lusitano João Ricardo Pedro: non una semplice saga familiare con la dittatura di Salazaar e la rivoluzione dei garofani sullo sfondo, ma un concentrato di vertigini e malinconie, tragedia e umorismo, groppi in gola e sorrisi
Non importa che faccia abbia, ma ciò che fa quotidianamente: Giorgio De Marchis è un gran traduttore, ma magari lo sanno in pochi. Il mondo editoriale spesso “maltratta” i traduttori, considerandoli qualcosa di simile a piccole rotelle di ingranaggi, i lettori invece hanno un debito enorme con chi piega all’italiano le lingue straniere dei libri che arrivano da oltre confine, firmando versioni che in certi casi restano immortali e celeberrimi (l’incipit de Il grande Gatsby nella versione di Fernando Pivano chi se lo scorda più?).
Uno scrittore ai tempi della crisi
De Marchis è un docente universitario specializzato in letteratura lusofona – vasta eppure forse non apprezzata abbastanza alle nostre latitudini – e a lui dobbiamo le traduzioni di alcuni autori speciali, dal brasiliano Luiz Ruffato all’angolano José Eduardo Angalusa, alla mozambicana Paulina Chizane (tutti autori della casa editrice Nuova Frontiera, di cui è consulente). L’ultimo scrittore della serie di traduzioni di De Marchis, almeno finora, è João Ricardo Pedro, debuttante portoghese di qualche anno fa che ha trovato la sua voce italiana, quella della traduzione de Il tuo volto sarà l’ultimo (207 pagine, 16 euro), pubblicato dall’editore Nutrimenti nella collana Greenwich. Singolare la vicenda di questo nuovo autore che ha vinto una nota selezione d’inediti in Portogallo, iniziando a scrivere dopo essere stato licenziato, nel 2009, da un’azienda di telecomunicazioni. Uno scrittore ai tempi della crisi, insomma, che è riuscito a trovare una strada importante, per strane contingenze.
Una moltitudine di personaggi
È un romanzo, quello di João Ricardo Pedro, scritto con la penna intinta nella storia, nei suoi dolori e nei suoi amori, Il tuo volto sarà l’ultimo. Non basta un solo romanzo ambizioso, e che conferma gran parte delle proprie ambizioni, per elevare il suo autore alle vette dei campioni del proprio paese, Saramago e Lobo Antunes, e nemmeno a quelli che restano al momento i loro eredi più fecondi, più Peixoto che Tavares. L’esordiente João Ricardo Pedro però colpisce, per qualità dell’intreccio, ritmo narrativo, inventiva e tenuta costante, che arriva fino in fondo. Il romanzo è diviso in sette parti e la maggior parte della moltitudine di personaggi che lo anima quasi non teme confronti per resa poetica con i nomi più belli della tradizione letteraria portoghese.
Una famiglia fra orrori privati e pubblici
Non una semplice saga familiare, Il tuo volto sarà l’ultimo, ma una storia ben orchestrata e non convenzionale di orrori privati e pubblici – sviluppati in episodi apparentemente autonomi, ma che gradualmente compongono un puzzle – che coinvolgono la famiglia Mendes, il patriarca Augusto, medico di un villaggio, suo figlio Antonio, che per due volte ha combattuto la guerra coloniale in Angola, e il nipote Duarte (il personaggio più riuscito, col suo enorme precoce talento nel suonare il pianoforte), che prova a scavare nel proprio passato e in quello dei suoi avi, cucendo storie vissute in prima persona e avventure passate che sembrano sfociare nella leggenda: vicende colte in momenti specifici, quelli più significativi, o presunti tali.
I nervi scoperti della Storia
Nella trama romanzesca intessuta c’è poi spazio per mille rivoli di storie, a cominciare da quella che apre il volume, la morte violenta di Celestino, uomo a cui il medico quarant’anni prima aveva regalato un occhio di vetro al posto di una cavità vuoto in viso e un lavoro, realizzare un campo di calcio da un terreno abbandonato, in cambio di un salario e della promessa di andare a messa tutte le domeniche. Inevitabilmente la dittatura di Salazaar e la Rivoluzione dei garofani del 1974, ovvero i due eventi storici cruciali della storia moderna del Portogallo – nervi scoperti e ferite di quella terra – sono protagoniste sullo sfondo, come un’eco, ma non troppo lontana. Non c’è linearità temporale, ma i lettori avvertiti non andranno in confusione. Come non si formalizzeranno per la scrittura diretta e talvolta cruda. Come si abitueranno in fretta a certi dialoghi audacemente ridondanti, a volte ripetitivi fino al parossismo, al culto minuzioso dei dettagli, anche i più strampalati (come nel capitolo La madre e la fine dell’Unione Sovietica). E in quel piccolo villaggio dal nome di un mammifero, chi deciderà di avventurarsi tra le pagine di questo romanzo, troverà vertigini e malinconie, tragedia e umorismo, groppi in gola e sorrisi.