Nella Grande Mela il Lower East Side ebraico e la zona di Little Syria sono lo sfondo della storia d’amore raccontata da Helene Wecker, statunitense di famiglia ebraica: una felice attualizzazione del mito del Golem in un mondo immerso nei conflitti religiosi, o camuffati come tali
La prolissità è temperata dal bell’intreccio, qualche passaggio farraginoso – forse inevitabile in quasi seicento pagine – dall’intento nobile di un romanzo che racconta una storia come auspicabile metafora di un mondo, quello attuale, immerso nei conflitti religiosi (o camuffati come tali). E se, parlando di golem, l’aspirazione all’originalità è frustrata, la statunitense Helene Wecker dimostra comunque di attingere con uno sguardo obliquo e sotto una luce diversa alla, vecchia di secoli, leggenda per eccellenza della cultura yiddish, nata dalle pieghe del Talmud. Come negli ultimi anni hanno fatto, per fare qualche esempio “alto”, Michael Chabon e Umberto Eco. Perché Judah Loew, il gran rabbino di Praga, creatore del golem grazie al sapere della cabala, è un personaggio così attuale? Perché il mito del golem – il gigante d’argilla che avrebbe dovuto difendere gli ebrei del ghetto di Praga dai persecutori – resiste dall’inizio del diciassettesimo secolo ai giorni nostri? Inizialmente il golem rappresentava la difesa contro la violenza e l’odio, una creatura artificiale al servizio dell’uomo: l’automa che prova a ribellarsi al suo stesso creatore e da questo è distrutto per evitare derive aberranti e pericolose. Nel tempo l’attualizzazione del mito ha iniziato ad avere a che fare col bisogno di un doppio “speciale” che ha l’uomo. È la remota origine degli androidi di Scott (quindi di Dick) e degli avatar di Cameron e, ancor prima, a ritroso l’ispirazione più o meno velata di Gibson, Lem, Asimov, Gustav Meyrink (durante la Grande Guerra, tanto che decenni dopo quel deficiente di Hitler faceva cercare il Golem a Praga…) e, in pieno o tardo romanticismo, di Shelley (Frankenstein) e Hoffmann (L’uomo di sabbia).
Una lunga metafora autobiografica
Helene Wecker, statunitense di famiglia ebraica, sposata con un americano di origini arabe, ne Il genio e il golem (590 pagine, 18 euro), si regala una lunga metafora autobiografica – narrando la storia d’amore tra una golem al femminile partito da uno shtetl polacco e di un genio che salta fuori da un fiasco di rame proveniente dalla Siria – e dà vita ad un affascinante congegno narrativo. Primo romanzo di Wecker, pubblicato ne “I narratori delle tavole” dall’editore Neri Pozza (tradotto da Simona Fefè), con lo sguardo squarcia una magica New York, quella del passaggio tra Ottocento e Novecento. È una città brulicante di immigrati, pienamente multietnica, specchio di un mondo contemporaneo, che però è figlio della tradizioni popolari più disparate, rappresentate dalle mitiche creatura della tradizione ebraica e araba.
Due solitudini nel caos della Grande Mela
Due specialissimi immigrati, la golem e il genio, potenti ma vulnerabili, sono due solitudini che s’incontrano nel caos della Grande Mela, sulle rive del fiume Hudson: lei sottomessa e spaventata da una libertà imprevista (creata da un rabbino, Yehudah Schaalman, venduta all’inetto Otto Rotfeld, che vuole una docile e obbediente consorte, ma muore durante la traversata dell’oceano), lui più disinvolto (dopo essere stato liberato da uno stagnino), pur incatenato alla forma umana da un bracciale di ferro e privato dei suoi poteri magici. Chava e Ahmad, come sono ribattezzati strada facendo, sentono d’appartenere relativamente alle piccole comunità che li hanno accolto – il Lower East Side ebraico, dove la golem finisce sotto l’ala protettiva del vecchio rabbino Meyer, e la zona di Little Syria, dove il genio si cimenta come apprendista stagnino – e al mosaico di storie e personaggi che li circondano. Insonni, confusi, ugualmente scettici sulle religioni, ma diametralmente opposti nei pensieri e negli atteggiamenti, nel modo di affrontare il mondo, i due vagano nella notte e quando s’incontrano le loro vite cambiano. Scoprire come, tocca agli aspiranti lettori, a cui è meglio non rivelare altro
Se lo scontro di civiltà si risolve in… amore
La narrazione di Helene Wecker, forse, forza troppo la fusione delle diverse trame e digressioni – alcune delle quali irrisolte – ed esplora, viviseziona quasi, l’intera gamma dei sentimenti e degli stati d’animo. È un romanzo ambizioso, miscela storia, religione, mito e fantasia con rischi kitsch, con qualche scorciatoia filosofeggiante, ma non smarrisce emozioni e passioni, non perde di vista la vita umana, pur affidandosi a creature sovrannaturali. È un esperimento in larga parte riuscito, Il genio e il golem, il convergere di due universi mitici lontani, che a suo modo può essere una risposta ad estremismi e scontri di civiltà che insanguinano le strade del mondo. Poi, sono rarissimi i libri che cambiano il corso del mondo. Ma questa è un’altra storia…