Le vicende di una pacifica comunità in Argentina, epopee di figli in cerca dei genitori e tormentate storie d’amore sono cucite assieme in “Neuland” da Eshkol Nevo, uno dei “rottamatori” della letteratura israeliana. Un sasso nello stagno che lo scrittore lancia per pensare al futuro della sua patria diverso dal presente
Prepotentemente attuale è il conflitto israelo-palestinese, guerra perpetua iniziata da decenni che ha radici più antiche e partorisce lutti, orfani e profughi, con infinite e periodiche recrudescenze, nella quotidianità di due popoli fratelli e nemici, entrambi terrorizzati, vigliacchi e spietati, in un dibattito eterno incrostato di conflitti religiosi e ideologici, di centri di potere e interessi economici, tra escalation di disinformazione incrociata. Gli scrittori israeliani non si sono mai sottratti all’analisi politica, incalzando opinione pubblica e governi, ponendosi tanti interrogativi – su indicibili omicidi, eterne contraddizioni, colpe e rimorsi, giustizia e soluzioni – e provando a dare qualche risposta. Non si sottrae nemmeno Eshkol Nevo, gerosolimitano, quarantunenne, al tempo stesso erede e “rottamatore” (non come Etgar Keret, più fuori da schemi classici) della grande tradizione letteraria israeliana.
Una dimensione politica
L’ultimo suo libro ha una dimensione, non solo, ma anche politica. Si può parlare di Israele oggi narrando di moderni ebrei erranti, di fughe e ricongiungimenti, di tormentate storie d’amore – quella tra Dori e Inbar si scopre subito, nelle email delle prime pagine, l’attrazione tra il nonno di lui e la nonna di lei, invece, emerge lentamente – e di un’utopica terra? La risposta è sì, a leggere le nuove pagine dell’autore di Nostalgia (Mondadori) e La simmetria dei desideri (Neri Pozza e Beat), quest’ultimo bellissimo romanzo sul cambiamento e sull’amicizia, per sintetizzare brutalmente. Leggere Neuland (632 pagine, 18 euro), terzo romanzo di Eshkol Nevo – tradotto da Ofra Bannet e Raffaella Scardi – è un’esperienza totalizzante, può svuotare per i rivoli di microstorie e digressioni (tutte utili, quasi tutte indispensabili, l’unica riserva è per i paragrafi di “Eludina”), ma saprebbe svegliare dal torpore chiunque legga storie che hanno poco da dire.
Genitori, figli e buchi neri
C’è un filo rosso tra le pagine di Nevo ed è il complesso rapporto fra genitori e figli, che hanno alle spalle i fantasmi delle guerre di Israele (terra in cui scorre anche il sangue oltre al latte e al miele, si renderà conto già alla fine degli anni Trenta chi ha abbandonato l’Europa) e gli irrisolti “buchi neri” delle proprie vite, il bisogno per molti di allontanarsi da Israele – per andare in Germania, in Argentina, a Hong Kong o in Australia – per capire meglio il proprio passato, per soffrire meno e perdonare più facilmente gli altri e se stessi. Come nei suoi precedenti romanzi, la narrazione è affidata a più voci, al punto di vista degli inquieti personaggi in scena: Dori («Sembra serio, responsabile, un po’ quadrato. Uno di cui ci si può fidare. Ma dentro, un fuoco», dice di lui la sorella), insegnante di storia che lascia moglie e figlio, alla ricerca del padre Meni, fuggito in America Latina, dopo la morte della moglie; Inbar, conduttrice radiofonica, provata dal suicidio del fratello, che trascorre alcuni giorni a Berlino con la madre, prima di prendere un aereo per il Perù, anziché tornare a casa; il picaresco e pittoresco Alfredo, efficace detective privato sui generis («… di solito mi sento così quando trovo un cadavere, ma se faccio un po’ di vida loca con qualche mignotta mi passa»); Lili, nonna di Inbar, sospesa tra il ricordo sfumato dell’attrazione per il musicista Pima (col suo pomo d’Adamo pronunciato, come alcuni suoi eredi) e la vita con il marito Natan, fra il racconto della sua fuga dalla Polonia e un presente di lucidità e memoria a intermittenza.
Un microcosmo visionario
La domanda di fondo dell’intero romanzo di Nevo – i cui epiloghi si lasciano ai lettori – arriva dinanzi a Neuland, piccola pacifica comunità fondata da Meni in una fattoria di Buenos Aires: “Tu che arrivi, sei mio fratello” si legge all’ingresso. È un microcosmo visionario che, programmaticamente, si rifà a quello vagheggiato più di un secolo fa in un romanzo da uno dei padri del sionismo, Theodor Herzl. Il nome di Herzl riecheggia negli ultimi dialoghi tra padre e madre (ma non era morta? Sì, ma nell’America Latina tutto è possibile) di Dori e ispira la nascita di Neuland, modello di ciò che avrebbe voluto e potuto essere in origine Israele e forse non è. E la domanda di fondo è: Israele, nella lotta che a torto e a ragione ha portato avanti per preservarle ha perso le proprie ragioni d’essere e la propria identità, perfino il proprio senso d’appartenenza? La questione è complessa e non consente superficialità. Nevo, come ogni scrittore degno di questo nome, getta un sasso nello stagno, per pensare a un futuro diverso dal presente.
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