“Il giardino delle bestie” di Erik Larson intreccia accuratezza storica e vena romanzesca nella storia dell’ambasciatore statunitense a Berlino, durante l’ascesa del nazismo. Un disastro sottovalutato a lungo in Europa e in America
I romanzi di Romain Gary, quelli di Amitav Gosh e di Joshua Ferris, Gli scomparsi di Daniel Mendelsohn e Kristus di Robert Schneider (del quale languono alcuni titoli finiti fuori catalogo, editi non molti anni fa da Einaudi). E ancora L’ultimo inverno di Paul Harding, La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo e La cena di Herman Koch. Tutti libri lanciati con successo in Italia, negli ultimi anni, dall’editore Neri Pozza, che aggiunge a questa collezione Il giardino delle bestie (559 pagine, 18 euro) dello statunitense Erik Larson, tradotto da Raffaella Vitangeli. Una storia vera, intrecciata alla cronaca e romanzata al punto giusto, con un’alchimia che non riesce a molti scrittori, ovvero il giusto dosaggio di pathos – che cede spesso il passo al distacco – e accuratezza storica (come testimoniano un’ottantina di pagine dell’appendice, con fonti, documenti, lettere e diari dei protagonisti, e una lunga bibliografia, che comprende anche debiti con la narrativa di Isherwood), non inficiata dalla tessitura narrativa.
Il nazismo sottovalutato negli Usa
L’antefatto di ciò che racconta Larson (che è prima di tutto uno storico) è negli Usa che vacillano sotto i colpi e i riflessi della Grande Depressione e dove l’antisemitismo è piuttosto diffuso, nonostante una forte comunità ebraica. L’ascesa del partito nazista in Germania è sottovalutata da larghi strati della popolazione e delle classe dirigente di Washington: «A quel tempo era opinione diffusa che il governo di Hitler non sarebbe sopravvissuto a lungo», si legge nel secondo capitolo. Il presidente Franklin Delano Roosvelt, però, fa fatica a trovare un ambasciatore per la sede di Berlino, colleziona rifiuti prima di pensare a William E. Dodd (forse, vuole la leggenda, scambiandolo anche per un omonimo…), docente universitario di storia, con trascorsi a Lipsia per un dottorato. Un uomo mite e frugale, uno studioso, non certo un diplomatico di professione, refrattario ai fasti, che si trova catapultato in una capitale tedesca progressivamente in subbuglio, dove lui e la sua famiglia (la moglie Mattie, i figli Bill e Martha) si misureranno con i fiori del male che crescono non solo metaforicamente nel Tiergarten, il cuore verde di Berlino.
La Berlino glamour prima di Hitler
Magistrale è il racconto dell’atmosfera glamour e vitale della capitale tedesca – tra salotti, locali notturni, concerti, cabaret e voci di opposizione, pur se flebili – che nei primi anni Trenta non era ancora stata annientata dalla dittatura di Hitler, dalle parate militari e dalle spedizioni punitive ai danni degli ebrei. La situazione, per, precipiterà, proprio negli anni raccontati ne Il giardino delle bestie. L’ambasciatore Dodd, costretto a dimettersi alla fine del 1937, fu rimpiazzato da Hugh Wilson che, dopo l’insediamento, non aveva ancora capito la portata del male assoluto che covava da anni.
Un ambasciatore inadeguato e miope
Se non come un inetto, Dodd è a lungo ritratto nella sua inadeguatezza per il compito a cui è stato chiamato in una Germania in tumulto: mentre la vita quotidiana inizia ad essere permeata dalla violenza nazista contro oppositori politici ed ebrei, Dodd, «esempio perfetto di democratico jeffersoniano» è concentrato nella stesura di un’opera storiografica sul Sud degli Usa. Miope, come tanti all’esterno del Reich, l’ambasciatore statunitense – nonostante i preoccupati resoconti del console Messersmith – è fra coloro che sono convinti a torto della natura passeggera della parentesi nazista.
La consapevolezza è un viaggio
La consapevolezza di quello che sta accadendo, dell’orlo del precipizio in cui sta precipitando la Germania e del vero volto di Hitler, è un viaggio che il lettore del libro di Larson fa gradualmente con Dodd, che inizierà ad inviare primi allarmati dispacci, dopo aver vissuto direttamente e indirettamente il precipizio della violenza a cui è destinato il popolo tedesco, a cominciare dalla “notte dei lunghi coltelli” nell’estate 1934, in cui Hitler fa fuori ogni avversario: l’inizio della fine.
L’irrequieta e disinvolta Martha
Nel robusto volume di Larson spicca per magnetismo e ricchezza psicologica l’irrequieta e disinvolta Martha, figlia dell’ambasciatore, con un matrimonio sbagliato alle spalle, a soli ventiquattro anni, e un appetito sessuale, che sarà saziato in più di un’avventura: i suoi conquistatori vanno dal capo della Gestapo a un diplomatico francese, a Boris, un funzionario sovietico, ma non solo. Sarà proprio lei – tra le feste, i ricevimenti in ambasciata e un’assidua frequentazione della dirigenza del Reich – a svegliarsi dal torpore e dall’inebriamento della prima ora, l’orrore affiora e ha la meglio sul fascino sinistro che emana la “rivoluzione” nazista.