Ambizioso, coraggioso, ipnotico è “Brave persone” romanzo dell’israeliano Nir Baram: la storia di un tedesco, Thomas, e una sovietica, Alexandra, non coinvolti ideologicamente, ma che contribuiscono ai processi di morte del terzo Reich e dell’Urss. Se si ravvedono, lo fanno poco e tardi
Unto con l’olio dei grandi romanzieri, incensato dai suoi connazionali di grido Oz e Yehoshua, l’israeliano Nir Baram a trentacinque anni ha scritto un libro ambizioso, coraggioso e ipnotico, con appena qualche inevitabile sbavatura, con una trama che talvolta s’aggroviglia su se stessa, ma di una potenza narrativa e metafisica con pochi eguali al giorno d’oggi. Naram – al quarto titolo, lavora in una casa editrice come editor di non fiction e cura una collana di classici – riesce ad affrontare la Shoah e le purghe staliniste da una prospettiva non convenzionale.
Prima della guerra
Senza scaraventare il lettore nei campi di concentramento o nel gorgo dei gulag della Kolyma, scrive con mano felice un’immensa storia contigua alla seconda guerra mondiale, fino al giugno 1941, prima che la potenza nazista e quella comunista entrino in conflitto. Gli basta seguire la quotidianità di due individui, un tedesco e una sovietica, non coinvolti ideologicamente, ma che sono piccolissimi ingranaggi dei processi di morte e devastazione che sono le dittature del terzo Reich e dell’Urss.
Vite comuni
C’è chi ha visto, con le dovute distanze e proporzioni, nella riflessione portata avanti da questo romanzo anche qualche riferimento alla società israeliana contemporanea – che dittatura non è, ma vive un conflitto interno permanente – viste le posizioni di Baram, cresciuto in una nota famiglia di laburisti, che ha chiesto in alcuni editoriali pubblicati sul quotidiano di Tel Aviv, Maariv, il riconoscimento di uguali diritti per i palestinesi e i lavoratori stranieri. Brave persone (559 pagine, 22 euro) di Nir Baram è stato tradotto (da Elisa Carandina) in Italia ancor prima che nei paesi anglofoni e in gran parte d’Europa, pubblicato con lungimiranza dalla casa editrice Ponte alle Grazie, che ne ha intuito le potenzialità. Le oltre cinquecento pagine di Baram – dietro le quali c’è un lungo lavoro di ricerca, fatto di studi e anche di viaggi nei luoghi del romanzo – si fondano sulle vite comuni di due individui sotto altrettanti regimi totalitari e scandiscono due storie parallele e simili: il tedesco Thomas Heiselberg è un ricercatore di mercato che verrà assunto dal ministero degli Esteri per ricerche a fini persecutori, la sovietica Alexandra Weisberg, figlia dell’intellighenzia di Leningrado, assiste quasi impotente alla disgregazione della propria famiglia, non si oppone a punizioni e varie forme di rieducazione per quelli che prima erano amici e diventa succube di un potente funzionario sovietico; l’unica preoccupazione che porta a galla l’umanità della ragazza è la possibilità di salvare uno dei due fratelli.
Collaborare, senza leggere la tragedia
Sarcasticamente sono Thomas e Alexandra detta Saša le brave persone dei titolo, sintesi esemplari della gente comune che ha collaborato con i mali assoluti del ventesimo secolo, rettisi anche su un diffuso consenso popolare. Le loro esistenze (a partire dalla Notte dei Cristalli, a cui si fa qualche accenno) scorrono parallele, intersecandosi solo per alcuni mesi e nel corso di pochi brevi incontri, finalizzati alla realizzazione di una parata bilaterale fra i due stati, alla vigilia di quella che sarebbe stata l’invasione dell’Urss da parte della Wehrmacht. I due sono partecipi del disastro umano delle realtà in cui si muovono, toccano brevi picchi di potere o di “fama” (Thomas mette a punto un “modello” polacco, un profilo psicologico del polacco medio che può interessare il regime e darà forza alle improbabili e inconsistenti idee sulle razze dei nazisti; Saša, collabora con l’Nkvd, gli aguzzini della polizia segreta che conducono gli interrogatori dei dissidenti, diventando una sorta di “editor” delle
confessioni, che sfronda di inesattezze logicotemporali), ma più che altro precipitano di volta in volta in abissi dai quali non è semplice risalire e restare a galla. Non sanno o non vogliono leggere la tragedia. E, se si ravvedono, lo fanno poco e tardi.
La zona grigia della mediocrità
Il romanzo di Nir Baram è notevole perché – non strizzando l’occhio al lettore, non cercando la sua empatia – si confronta, senza cliché, con il male assoluto e soprattutto con la sua normalità, con il suo consenso nella quotidianità, con l’opportunismo di gente ordinaria, che s’aggrappa a qualsiasi cosa per non affondare. Brave persone è l’emanazione contemporanea di certi classici tedeschi e russi, una lezione di stile, un’indagine profonda sulla natura umana, su una zona grigia fatta di una miscela di interessi personali, viltà, pigrizia intellettuale, mediocrità, talento affidato nelle mani sbagliate, che ha condotto popoli interi nel baratro del male e del genocidio.