Duilio Scalici, una porta rossa per riconciliarsi con se stessi

Ninfa, la protagonista di “Ore cutanee” di Duilio Scalici, lavora in una struttura che ospita anziani. Una vita scandita da un ritmo abitudinario, ma in cui si fa i conti con un turbinio di emozioni, con l’amore e con la bellezza…

Una favola moderna dal sapore retrò e con risvolti contemporanei. Così potrebbe essere definito Ore cutanee (80 pagine, 13 euro), libro di Duilio Scalici, pubblicato da Augh edizioni, con prefazione di Marina Rei. Un libro particolare, per genere e stile, che per essere compreso forse va riletto oppure letto lentamente, intervallando la lettura con pause utili a districare i nodi del racconto e della scrittura.

Quasi come se il lettore stesse percorrendo anch’egli il lungo corridoio dalle porte grigie. Anche a lui quindi serve tempo per assaporare le potenzialità della porta rossa, ovvero del libro di Scalici. Non che debba diventare un’ossessione anche per il lettore ma, a ben guardare, può rappresentare un’apertura su un mondo diverso, inaspettato, incompreso e spesso equivocato.

Duilio Scalici ha scritto la sua storia intorno a un unico tema principale: l’unicità. Delle persone. Dell’amore. Per la protagonista, seguire questa strada, ha rappresentato la scoperta di nuovi mondi ma, soprattutto, la possibilità dell’incontro che ha cambiato la sua vita e forse anche il suo destino.

Anse buie

Scalici inizia la narrazione introducendo la porta rossa ma raccontando anche nel dettaglio l’ambiente lavorativo della protagonista. Una casa di riposo dove soggiornano degli anziani. La panoramica sulla vita e sul mondo e, per forza di cose, osservata da un’ottica di decadimento. Ed è proprio in queste anse buie che si insinua ben presto l’interesse verso la porta rossa, sempre chiusa, volutamente tenuta chiusa a celare un qualcosa che diviene l’interesse maggiore di Ninfa.

Quella attuale è una modernità che in un tempo limitato ha conosciuto molteplici trasformazioni. Alle disuguaglianze tradizionali, definite in termini di potere e di risorse materiali e simboliche, si aggiungono altre fragilità, spesso legate alle risorse relazionali dell’individuo e alla capacità di utilizzare tali risorse come contrasto alle difficoltà e come chance per migliorare le proprie condizioni di vita. Questo accade perché le appartenenze – quelle relazioni che danno a ognuno la dimensione del senso e costituiscono un sistema di orientamento, quelle ascritte e quelle che si cercano – si sono modificate e possono produrre effetti imprevisti. Per un verso infatti aumentano: nel senso che l’individuo moderno non si inserisce più in una sola comunità o in un unico gruppo di riferimento, ma anche nel senso che la multiaffiliazione risponde a un’utilità o a un’opportunità. Piuttosto che confermare l’accresciuta libertà individuale, questo modo di esperire l’appartenenza crea frammentazione. Per altro verso, a volte, le relazioni più autentiche possono diventare delle legature, dei vincoli, degli ostacoli rispetto alle possibilità che la vita moderna offre.[1]

Vince la curiosità

Esattamente come accade al personaggio di Duilio Scalici, intrappolato tra le strette maglie di un’esistenza e di un ruolo costruiti per lei da una società precostituita e nei quali proprio non si riconosce. Osserva il mondo con gli occhi di chi ancora vuole inventarsela la propria esistenza. Simbolico a tale riguardo è il dialogo con il partigiano, ospite della struttura, il quale invece non avverte più l’esigenza di indagare per cambiare consigliando addirittura anche a Ninfa di lasciar perdere la porta rossa. Consiglio che ovviamente lei non segue. A vincere è la curiosità così, tassello dopo tassello, scopre il mistero che si cela dietro la porta rossa. Chiusa e misteriosa.

Le mura urbiche hanno avuto sempre il senso e il significato di una cesura, di un rapporto interrotto tra territorio e insediamento racchiuso. Questo valore più generale e di partenza, per quanto filtrato e quasi interpolato dalla funzionalità militare e difensiva che tali strutture dovevano per lo più istituzionalmente avere, lo si ritrova costante ovunque, si può dire in ogni epoca, esasperato poi nel fenomeno dell’incastellamento medioevale e delle cittadelle fortificate coeve. Ma le cortine di cinta non potevano essere di per sé solo diversità ed esclusione, separatezza. Significano anche, necessariamente, un termine di mediazione e di correlazione, evidente per la stessa indispensabile presenza delle aperture degli ingressi, che si pongono come un riferimento naturale e “determinato” di scambio e di rapporto. La porta si carica in questo senso, oltre che del semplice ruolo funzionale di passaggio, pure di un valore traslato, di occhio e di diaframma rivolti a inquadrare e a fornire, quasi fotografandola, l’immagine della realtà interno/esterno nella doppia sua direzione.[2]

Anche nella simbologia cristiana la porta ha una valenza molto caratterizzante: «Io sono la porta, se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni). Per la comunità cristiana, la Porta Santa non è solo lo spazio del sacro, al quale accostarsi con rispetto, con comportamenti e con vestiti adeguati, ma è segno della comunione che lega ogni credente a Cristo: è il luogo dell’incontro e del dialogo, della riconciliazione e della pace che attende la visita di ogni pellegrino, lo spazio della Chiesa come comunità dei fedeli.

Nel romanzo di Duilio Scalici la porta rossa sembra condurre la protagonista alla riconciliazione con se stessa. Ma prima ancora di questo, ciò che ha ingenerato è un vortice emotivo che neanche lei riusciva a spiegare.

La vista dell’anonima porta di vetro e metallo della palazzina dove si trovava il mio appartamento fu la prima cosa che mi distrasse da quanto accaduto quel giorno, Era anch’essa una porta, ma non mi suscitava alcuna emozione. Nessun mistero celava, se oltrepassata. Non so perché, ma un vuoto si aggrappò ai miei pensieri.

Il buio

L’oscurità rappresenta una paura fondamentale dell’esistenza. Il buio è la manifestazione dell’ignoto, e questo è ciò che l’uomo teme sopra ogni cosa: la consapevolezza di non sapere cosa si annidi nello spazio appena più in là. Superare l’incertezza e prevedere l’utilità a partire da dati apparentemente inutili è verosimilmente il compito fondamentale che il cervello umano, come pure quello di altre specie, si è evoluto per assolvere, ragione per cui il fatto di stare nell’incertezza è esattamente ciò che il nostro cervello si è evoluto per evitare. Non è soltanto l’oscurità vera e propria che si cerca di evitare, ma anche il timore che assale quando si entra nell’incertezza, quando cioè si è all’oscuro in senso metaforico.[3]

Scalici immagina che la paura mista a curiosità per l’ignoto e l’incertezza, rappresentati dalla porta rossa, ingenerino nella ragazza un turbinio di emozioni tali da ripercuotersi sul corpo, sul fisico provato già di primo mattino. Stanco, spossato. Dubbioso e intimorito.

L’ossessione per la porta rossa e il programma di fantasmi che mi aveva conciliato il sonno erano più che sufficienti. Era meglio non pensarci più. La sensazione che mi aveva lasciato in corpo non era affatto piacevole.

Il malessere fisico e psichico di Ninfa continua fino al momento in cui varca la soglia della stanza fino a quel momento chiusa dalla porta rossa.

Andamento lento

Il ritmo della narrazione di Ore cutanee è lento. Duilio Scalici scandisce ogni gesto della protagonista come anche ogni suo pensiero. Ogni azione segue un ordine cronologico ben definito, il ritmo della vita quotidiana di Ninfa. Ordinario. Abitudinario. Eppure il tutto appare sempre indefinito, sospeso. Come appartenente a un ordine fuori dall’ordinario, lontano dal quotidiano. Esule finanche dalla stessa vita. Esattamente come appaiono Zoe e le sue storie.

Il libro racconta dell’amore certo ma non è una semplice storia d’amore. È la narrazione della bellezza, in tutte le sue forme, del tempo e, soprattutto, del coraggio. Di scegliere. Di vivere.

La bellezza non basta. È questa la grande scoperta del Rinascimento. Gli artisti e gli scrittori rinascimentali scavano il marmo, stendono la pittura, infilano collane di parole. Ma il loro segreto non è fatto di pietra, di colori, d’inchiostro. Assieme alla bellezza, impastano emozioni. E le mettono per iscritto. Le dipingono. Le disegnano. Le modellano.[4] Duilio Scalici le ha raccontate queste tanto necessarie emozioni.

 

 

[1]S. Licursi, Gli anziani nella modernità, in P. Fantozzi, S. Licursi, G. Marcello, A partire dagli anziani, Liberetà, Roma, 2013.

[2]G. Rosada, Mura, porte e archi nella decima regio: significati e correlazioni areali, Atti del convegno di Trieste (13-15 marzo 1987), Publications de l’École Française de Rome, Roma 1990.

[3]B. Lotto, Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo, Bollati Boringhieri, Torino,  2017.

[4]G. Busi, S. Greco, Amarsi. Seduzione e desiderio nel Rinascimento, Il Mulino, Bologna, 2022.

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