Palazzeschi uno e trino, ecco perché leggerlo e tramandarlo

Scavalcò le epoche e fu anche futurista (sebbene scettico in chiave politica). Aldo Palazzeschi è ricordato a torto solo per “Le sorelle Materassi”, ma meritano di essere considerati classici tre dei suoi ultimi libri, “Il Doge”, “Stefanino” e “Storia di un’amicizia”, riuniti in unico volume. Episodi di una strepitosa commedia umana, esempi di una rivoluzionaria eccentricità, che sembra strizzare l’occhio alle tendenze più radicali dell’antiromanzo di derivazione europea

Non serve un lungo prologo per ribadire di quanta luminosità sia ricca la letteratura italiana, di quanto ad esempio il nostro Novecento (per non andare tropo indietro nel tempo) sia prospero di opere innovative, in controtendenza rispetto ai canoni consolidati e anticipatrici delle correnti più in voga del panorama europeo e internazionale, opere e autori che hanno dato vita a un lavoro di svecchiamento di codici vetusti e aperto nuovi orizzonti allo spesso troppo angusto panorama della tradizione, oltreché aver consegnato ai posteri, opere quando anche inclassificabili, più o meno ostiche, accessibili e decodificabili, dei capisaldi di quel patrimonio immateriale che è la letteratura, e il nostro Novecento, appunto, ne è pieno.

Oltre le mode, anticipando le neoavanguardie

Uno degli autori che a oggi AD 2024 si può dire senza timore di essere smentiti ha solo un parziale e degno riconoscimento presso le nuove generazioni di lettori è senz’altro Aldo Palazzeschi, nato a Firenze nel 1885, il quale con la sua parabola artistica ha attraversato quasi un secolo di storia letteraria italiana, dagli esordi poetici nella città di nascita con le sue liriche venate di crepuscolarismo fino all’adesione anche se non pienamente convinta all’epopea futurista (soprattutto riguardo le sue implicazioni politiche di tipo interventista verso le quali Palazzeschi mostrerà un costante scetticismo) e che lo porterà oltre alla pubblicazione di una delle più emblematiche e significative raccolte del periodo dal titolo L’incendiario e del romanzo Il Codice di Perelà, un romanzo futurista in forma di opera teatrale, oltre a partecipare persino alla celebre serata futurista al Politeama Rossetti di Trieste, fino ad essere persino idealmente adottato dal capofila del movimento Filippo Tommaso Marinetti, per poi distaccarsene e ritornare in qualche modo sui passi di esordio anche nella sua scrittura in prosa dove traspare un realismo in effetti solo di facciata e che grazie all’estro e innovativa cifra stilistica della sua penna  lo porterà a scavalcare le epoche e le mode fino a collocarlo negli anni della piena maturità quale vero e proprio anticipatore delle neoavanguardie.

Non l’autore di un solo libro

La lunga vicenda letteraria di Aldo Palazzeschi è composta di tanti tasselli e spostamenti tra l’originaria vocazione della scrittura in versi a quella in prosa sulla quale svetta il suo titolo più universalmente conosciuto, Le sorelle Materassi, il romanzo uscito nel 1934 presso il suo primo editore Vallecchi, mentre negli anni della sua maturità passerà a Mondadori che sarà anche l’editore di tutti i suoi ultimi romanzi, opera, la sopracitata, maggiormente nota e antologizzata, tanto da poterlo fare apparire agli occhi delle nuove generazioni come il classico autore di una sola opera, quando invece sia per la qualità intrinseca dei suoi più tardi volumi, sia per la testimonianza della sua lunga vicenda artistica e la carica innovativa dei suoi scritti, deve essere assunto a uno dei classici della nostra letteratura, i cui libri, come quelli di molti altri purtroppo semi dimenticati dovrebbero fare costantemente bella mostra sugli scaffali delle librerie e nei dibattiti più o meno colti, a dispetto del troppo chiacchiericcio libresco contemporaneo in un tempo frenetico e avviluppato su sé stesso e incentrato a strillare per ragioni editoriali come fondamentali opere fondamentalmente solo da digerire, accantonare e dimenticare in fretta.

L’attesa… disattesa

È in tal senso che si collocano tre romanzi del più avanzato percorso di Palazzeschi che Mondadori ha avuto il merito di riunire in un unico volume negli Oscar nel 2004, oltre a poter essere gli stessi reperiti in quella sorta di pantheon degli scrittori che sono i Meridiani, la storica collana della casa editrice milanese dove l’opera di Palazzeschi ha trovato il meritato domicilio. Si tratta di Il Doge, Stefanino, Storia di un’amicizia (424 pagine, 10,50 euro). Sono tre romanzi della fine degli anni Sessanta e inizio anni Settanta riuniti in un unico volume economico, poco prima del congedo definitivo di Palazzeschi che morirà a Roma nel 1974, e che per alcune tematiche e stilemi che riallacciano l’autore al filone più anarchicamente inventivo della sua intera opera, possono essere assimilati uno all’altro, oltre a dare gli stessi una compiuta visione della poetica dello scrittore. Uno dei comuni denominatori delle opere è la retorizzazione dell’attesa, soprattutto in Il Doge e Stefanino. Il primo, romanzo del 1967, verte sull’attesa di comunicazioni della massima importanza che il Doge di Venezia ha annunciato per le ore dodici di un dato giorno. La folla si accalca sulla piazza in attesa del signore della città che non si affaccerà mai. Questo espediente narrativo sembra un pretesto per rappresentare quel balletto e partitura astratta che è la commedia umana, le supposizioni e le domande, le dinamiche e la psicologia della folla in attesa con le proprie aspettative, costituendo questa sorta di Aspettando Godot collettiva allo stesso tempo una critica feroce al potere e un disvelamento delle sue dinamiche.

Botte, risposte ed epifanie

La stessa cosa avviene in Stefanino, romanzo del 1969 incentrato anch’esso sul tema dell’attesa, in questo caso da parte della folla addensata a ridosso del palazzo comunale per avere notizie del protagonista del romanzo (Stefanino, appunto), una strana creatura venuta apparentemente dal nulla, abbandonato dalla nascita nella pubblica piazza, con tutto il suo carico di mistero e perturbante, una sorta di Kaspar Hauser citando la figura del caso narrato dal consigliere di Corte d’appello Anselm Von Feurbach su un fatto realmente avvenuto dei primi anni del 1800 in una cittadina tedesca (il volume dal quale Werner Herzog ha tratto un film è edito da Adelphi), una specie di Joker ed espressione di quell’alterità che nella fattispecie del romanzo di Palazzeschi assume anche i connotati della diversità sessuale, dello scarto alla regola, con l’implicita critica alle verghe moralizzatrici dei costumi sociali più tradizionalistici e retrivi e delle ideologie e delle religioni. Anche in questo caso le oltre centocinquanta pagine del romanzo sembrano un pretesto per dire certe cose, qualcosa che sconfina con l’incredibile e il soprannaturale e allo stesso tempo con un’accesa critica dell’esistente: sembra che tutta la narrazione sia posta in funzione del dialogo finale tra il sindaco e Stefanino ove il primo dirà: “Ammetterai che tu rappresenti un errore della natura” e il secondo risponde: “Un errore siete voi che la natura non riuscite a comprendere e per cui rimanete ignoti anche a voi stessi”. Botte, risposte ed epifanie che non prescindono dalla rappresentazione del cicaleccio della folla con le sue turbe, beghe e inquietudini varie, con un infallibile stile pieno di estro, inventiva, con i congegni sintattici di una rivoluzionaria eccentricità che in Palazzeschi sembrano anticipare la nascita della neoavanguardia e allo stesso tempo sembrano strizzare l’occhio alle tendenze più radicali dell’antiromanzo di derivazione europea quali le esperienze di autori come Nathalie Sarraute e Ivy Compton Burnett, una scrittura quella dell’autore delle Sorelle Materassi nella quale la fanno da padrone periodi lunghissimi senza un punto per venti o trenta righe, ampie lasse che sembrano cantate popolari, con trame come in questi casi che sembrano pretesti per l’allestimento scenico di una coreografia dadaista, il tutto in ogni caso sotto un rigoroso controllo da parte del direttore di questo teatro e commedia umana che trova la massima espressione nella ricorrente rappresentazione della folla tipica di tutta la sua poetica, è a proposito di Il Doge che Palazzeschi parlerà di “romanzo di folla senza personaggi”, attribuendo alla folla la massima considerazione anziché ritenerla una massa amorfa, una sottolineatura questa e una delle grandi allegorie presenti come in molti  dei suoi romanzi che sono costantemente incentrati sulle dinamiche dei rapporti tra massa e potere, tra individuo e collettività, “regola” ed “eversione”, con una particolare attenzione alle tecniche che regolano l’esercizio del controllo del consenso, tematiche che emergono in modo preponderante sia ne Il Doge che in Stefanino ove  la piazza è in effetti l’archetipo par excellence.

Simmetria e divergenza

Parzialmente diverso è il caso di Storia di un’amicizia romanzo del 1972 che narra la storia dagli esiti tragicomici di Pomponio e Cirillo, due amici che non sono più amici. I due protagonisti ricordano una delle Operette Morali di Giacomo Leopardi, quel Dialogo di Timandro e di Eleandro, nel quale si evidenziano le due diverse visoni della vita e del mondo dei due dialoganti: ottimismo e pessimismo, vitalismo e abbandono. Analogamente i due protagonisti del romanzo di Palazzeschi sono uno il più diverso dall’altro, per indole, abitudini e anche conformazione fisica. La storia della loro amicizia è una storia di simmetria e di divergenza fino a nuova simmetria e un’ipotetica e incerta riconciliazione, narrata sulla stessa falsariga ironica di una delle opere precedenti di Palazzeschi quale Buffo integrale, con lo stesso stile libero dalle costrizioni sintattiche tradizionali e allo stesso tempo con un sentimento del geometrico che troverà estimatori in  scrittori quali Italo Calvino il quale parlerà proprio a proposito di Buffo integrale, di “disegno geometrico che si nasconde sotto i casi umani”, chiosando: “leggendolo scopro che il mio ideale stilistico è proprio quello”.

Un’altra grande iperbole e allegoria questo ultimo romanzo di Aldo Palazzeschi, nel quale il comico si lega al dramma in modo quasi naturale, in un autore che al di là delle celebrazioni e consacrazioni museali da pantheon degli scrittori e in qualsiasi formato e catalogo possa essere reperito dovrebbe essere letto o riletto e tramandato.

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