Un resoconto del primo anno di insegnamento, all’interno del penitenziario di un’isola. È “Qui nessuno dice niente”, il primissimo volume pubblicato da Domenico Conoscenti, che torna in libreria dopo la prima edizione del 1991. Con uno sguardo analitico e partecipe si raccontano avvicinamenti e diffidenze di un professore con una scolaresca… speciale. Un testo di grande attualità, perché in Italia i detenuti con identità, diritti e aspirazioni a un reinserimento sociale, non sono ancora davvero protagonisti…
Domenico Conoscenti, per quel che ne so, eccelle nell’arte romanzesca, nella misura del racconto ed è anche uno studioso di valore, appassionato, profondo, originale, specie quando di mezzo ci sono opere letterarie lontane nel tempo e purtroppo ignorate anche dai lettori fortissimi. Il presente e il futuro dei suoi libri affondano in un’eco lontana del passato, sepolta a lungo e riemersa quasi per ragioni imperscrutabili, un po’ a sorpresa per lo stesso autore. Ventottenne, alla fine degli anni Ottanta, iniziò a insegnare in un penitenziario di un’isola della Sicilia occidentale. Quell’esperienza preziosa era quotidianamente tradotta in un resoconto, un diario che ebbe vita editoriale, nel 1991 per la casa editrice Marietti. Adesso quel libro, a lungo un frutto sepolto, è rinato nel giardino della casa editrice palermitana Il Palindromo, che aveva già rilanciato il libro più noto di Conoscenti, La stanza dei lumini rossi, a diciotto anni dalla prima edizione. Qui nessuno dice niente. Un anno di scuola tra i carcerati (256 pagine, 13 euro), questo il titolo del vero debutto del palermitano Conoscenti (qui due articoli che ha scritto per noi), inizia davanti al portone blindato di un carcere e si conclude a casa dei genitori, con un paio di borsoni da disfare, dopo la fine di un anno scolastico, con tanti di esami. In mezzo, una vita, quella di un insegnante alle primissime armi, e altre non meno centrali, quelle dei detenuti alunni, con il loro carico di umanità e fardelli, spavalderie e timori, carismi e limiti, e con un orizzonte di libertà, oltre le sbarre.
Il mondo di fuori non li aiuterà, offrirà loro pochissime occasioni di un lavoro dignitoso; la ricerca spasmodica del benessere e dei suoi simboli si sovrapporrà alle sofferenze trascorse; la corruzione degli uomini di potere continuerà a fornire alibi e pessimi esempi, le vecchie amicizie torneranno a tessere le loro trame, si approfondirà il senso di separazione dello Stato.
Quelli che riusciranno, però… che schiaffo al mondo di dentro, a quello di fuori…
Mi viene il dubbio improvviso che questa esperienza stia incidendo più su me che su loro.
Altre voci, altre scuole
Naturalmente, prima di accostarvi a Qui nessuno dice niente dimenticate, se avessero trovato posto nella vostra memoria, i libri di Starnone, Pennac e Mastrocola, dimenticate anche l’ultima Ambrosecchio (ne abbiamo scritto, a più riprese, qui). Non è di quella scuola che leggerete, c’è un altro universo da indagare, comprendere, il protagonista e voce narrante lo fa giorno dopo giorno, con appunti presi su un taccuino. Gli alunni sono curiosi, ma introversi, si avvicinano e si allontanano, nel dialogo con l’insegnante, che fa tutto quello che può con quello che ha a disposizione, gli strumenti didattici e i libri di testo non sempre fanno capolino all’interno del penitenziario… Lo sguardo del narratore – la storia è palesemente autobiografica – è analitico eppure partecipe, il giovane docente s’interroga e riesce a imbastire fili visibili e invisibili che lo legano a una scolaresca particolarissima. Gli studenti, prigionieri di colpe, diffidenti e cupi, alla distanza, riescono a stabilire contatti. Il prof, ogni santo giorno, cerca una chiave di accesso ai mondi di tutti quegli studenti “speciali”, prova a stabilire un confronto (rendimento, ma soprattutto coinvolgimento, i “parametri” che tiene in considerazione), anche con gli altri lavoratori del carcere.
A spaventarmi non è la mole di lavoro, quanto l’attività snervante di mediatore fra tante, troppe teste, alcune delle quali sconosciute a me e fra loro, che pongono già ora limiti e condizioni nel sobbarcarsi un lavoro che richiede invece coinvolgimento e assiduità.
Cura del lessico e introspezione
Si percepiscono in queste pagine le caratteristiche del Conoscenti narratore che verrà? Per certi aspetti sì. Nell’esattezza delle parole e nella genuinità di una scrittura politica (esplicitata, più che nel romanzo, nei racconti di Quando mi apparve amore), caratteristiche che sono rimaste inalterate nel tempo, Conoscenti non è cambiato, se non nell’alveo di una normale evoluzione. La cura e l’eleganza del lessico, soprattutto in contesti prosaici, l’introspezione e la dimensione esistenziale delle figure evocate e raccontate, sono marchio di fabbrica, magari in fase embrionale, poi rinsaldatosi nel tempo.
Condanna o redenzione?
Condanna e redenzione – il bivio manicheo per chi deve scontare una pena, rinunciando alla libertà per i crimini commessi – tornano a più riprese nelle riflessioni e nei dialoghi che cuciti assieme compongono Qui nessuno dice niente. Il libro-diario di Conoscenti è invecchiato piuttosto bene e dimostra ben più di qualche sprazzo di attualità, favorito dal fatto che il dibattito sulle case circondariali in Italia sia fermo ad allora, o quasi. È vero che, rispetto a qualche decennio fa, il diritto allo studio e al lavoro sembrano avere attecchito dietro le sbarre ma, a giudicare da interventi e opinioni illustri sull’argomento, il detenuto come individuo, con identità, diritti e aspirazioni a un reinserimento sociale, non è ancora al centro del palcoscenico. E all’esterno non si fa abbastanza, gli educatori (e in genere tutto il personale) non sono sufficienti, e fatica, boccheggia, il passaggio da una cultura della criminalità a quella della legalità. La nota conclusiva, affidata a Mario Gozzini, promotore della riforma carceraria del 1986, è in ogni senso illuminante.
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