Intervista all’autore de “I formidabili Frank”, memoir che avrà un seguito (“Non sono più formidabili”): «Per scrivere un libro così devi oltrepassare l’idea di tradimento, raccontare con verità e cuore. In Italia, e attraverso la lingua italiana, sono diventato una persona differente, indipendente. Sto consegnando al mio editore americano un’opera di fiction, ma anche lì c’è qualcosa di autobiografico»
Certe distorsioni dei rapporti familiari e l’emancipazione dal nido d’origine, in una saga autobiografica di successo. Critico letterario e autore di reportage, l’americano Michael Frank ha vuotato il sacco, scrivendo I formidabili Frank (344 pagine, 20 euro), in Italia pubblicato da Einaudi, nella traduzione di Federica Aceto. Il risultato è un libro amaro ma godibilissimo, con la giusta dose di tragedia e commedia, che ha avuto riscontri importanti in patria e parecchia attenzione in Italia. I formidabili Frank è la storia di formazione del protagonista, lo stesso scrittore, allevato a Los Angeles più da due zii, Irving e Hank, che dai genitori. La bella e magnetica (in gioventù) zia Hank, in particolare, cerca di indottrinarlo a trecentosessanta gradi, provando a sottrarlo ai suoi genitori. Michael Frank, che parla un ottimo italiano, penetra il cuore e il mistero di certe famiglie, le più complicate. E spiega come ha trovato il proprio posto nel mondo.
Jonathan Franzen, uno dei più celebrati scrittori del mondo, ha detto di regalare spesso il suo libro. Cosa crede lo abbia colpito?
«Dovremmo chiederlo a lui, forse? Ma… se devo ipotizzare direi che uno come Franzen capisce molto bene cosa vuol dire cercare di catturare, in un modo onesto e rigoroso, l’esperienza di essere cresciuto, vissuto, e sopravvissuto in una famiglia difficile».
Frank, ha scritto una storia molto americana, ma universale. Come mai non l’ha camuffata da romanzo?
«Ci ho provato. Ho “perso” quasi quattro anni della mia vita cercando di scrivere la storia come un romanzo. Chi lo lesse all’epoca mi diceva che il personaggio della zia non era credibile, che non poteva esistere una persona del genere. Dentro di me ridevo e allo stesso tempo piangevo. Col senno di poi, però, mi sono reso conto che non ero ancora pronto, avevo bisogno di vivere, studiare e capire ancora. Ho capito di dover scrivere la storia come un memoir, raccontandola come l’ho vissuta. Niente camuffamenti. Niente immaginazione. Tutti i dettagli personali. È attraverso la specificità, raccontata con verità e cuore, che si arriva all’universale».
Eccentrica e accentratrice, la zia Hank ha monopolizzato a lungo la sua vita. Quando s’è accorto che l’affetto sfociava in manipolazione?
«Non c’è stato un semplice coup de foudre. La vita non è cosi. Da un giorno all’altro non cambi la percezione di una persona con cui sei cresciuto, che hai amato e ti ha amato. Pian piano ti rendi conto che stai vivendo un’esperienza difficile e complicata con una persona sempre più difficile e complicata».
Per diventare adulto ed emanciparsi dalla famiglia, anche raccontandola, l’ha tradita?
«Domanda difficile, ma sta facendo il suo lavoro, nei suoi panni fare la stessa domanda. Penso che la risposta giusta sia sì e no. Per scrivere un libro così, devi oltrepassare l’idea del tradimento. Ho deciso di scrivere della mia famiglia come se tutti quanti fossero già morti, e di pensare dopo alle conseguenze».
Come ha reagito la zia alla pubblicazione del suo libro?
«Anche questa è una domanda che, nei suoi panni, farei. Però per la risposta deve aspettare il sequel: Non Sono Più Formidabili!»
L’Italia è stata la sua via di fuga. Come l’ha scelta?
«Non ho scelto l’Italia, l’Italia mi ha scelto. Sono venuto dopo l’università. L’unica cosa che ho capito di me stesso all’epoca era che dovevo andare via da Los Angeles, dove sono nato e cresciuto, lontano da mia zia e da quello che conoscevo. Dietro il consiglio della mia insegnante d’Italiano, evidentemente una donna molto perspicace, sono andato a Firenze. In Italia, e attraverso la lingua italiana, sono diventato una persona differente, indipendente».
Abita fra gli Usa e la Liguria. Come ha vissuto la tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova?
«Con grandissima tristezza per la città che amo e per la sua gente. Ma come Rampini ha scritto in un bel pezzo “Genova non merita di diventare celebre come simbolo di disastri”. Il crollo del ponte poteva capitare in qualsiasi città lungo la penisola. Il problema dell’infrastrutture italiane è molto più grande di Genova e merita una creativa e vigorosa soluzione. Per risolverlo ci vogliono forte spirito di collaborazione e senso di responsabilità».
A cosa sta lavorando? Dopo questa storia autobiografica ha in mente un’opera di fiction?
«Sto per consegnare un romanzo alla mia casa editrice americana che ho cominciato prima di scrivere I Formidabili Frank e al quale sono tornato dopo la pubblicazione del libro. Mentre lo scrivevo non avrei mai detto che era autobiografico, ma ora mi rendo conto che, sotto un certo aspetto almeno lo è: ho condiviso con uno dei tre protagonisti—un ragazzo di 17 anni—la mia confusione riguardo alla mia parentela. Lui ha un padre prepotente, magnetico, e difficile… io avevo una zia prepotente, magnetica, e difficile. Non è facile crescere nelle famiglie complicate: lo sappiamo tutti». (Questa intervista è stata pubblicata in versione ridotta sul Giornale di Sicilia)