Il ritorno de “Il passato” dello scrittore argentino è un’ottima notizia: una lingua avvolgente e una riflessione sul tempo che passa, attraverso una relazione sentimentale cinica e folle, che muore per rinascere e culminare in un calvario
Ci sono case editrici che resuscitano autori. La nuova vita di Malamud con Minimum Fax, quella di Nemirovsky con Adelphi, il ritorno in grande stile di Goliarda Sapienza con Einaudi fanno riflettere e tirare un sospiro di sollievo. In certi casi ci si ravvede, in altri si colma un vuoto, in altri ancora il fiuto porta all’estero dove certi fenomeni virtuosi esplodono ed è il caso di seguire lo stesso solco. Anche le edizioni Sur hanno riportato in vita autori e libri che non meritavano l’oblio editoriale, Onetti, Cortàzar, Lezama Lima, Reynoso. E hanno riabilitato definitivamente l’argentino Alan Pauls, dopo i tentativi andati a vuoto da parte di altre case editrici, come Feltrinelli e Fazi.
Un romanzo torrenziale e ossessivo
Proprio, per Feltrinelli, con la stessa intensa e splendida traduzione di Tiziana Gibilisco, era stato già pubblicato Il passato (599 pagine, 20 euro) una decina di anni fa, quasi inosservato. Stavolta è andata meglio e c’è da credere che questo libro abbia un futuro, anche per come Sur si occupa del proprio catalogo e per il filo doppio creatosi con l’argentino Pauls. Il passato è un romanzo torrenziale e ossessivo, al pari del sentimento e della passione che hanno legato per una dozzina d’anni un uomo e una donna, Rimini e Sofia. Con una lingua puntuale e avvolgente, che guarda a certi classici ottocenteschi e un po’ anche a Proust (occhio titolista, non mettere “Pauls come Proust”), Pauls trascina il lettore in una di quelle esperienze che segnano le giornate, quando non si vede l’ora di avere un momento di pausa per rituffarsi fra le pagine di un libro. Questa è una di quelle volte, nonostante le pagine abbondino di periodi interminabili, digressioni e incisi.
Una relazione vissuta come opera d’arte
Il passato si regge su una storia d’amore, sulla sua fine, sulla sua possibile ripartenza. Sì, perché, mentre Rimini – di mestiere traduttore – fra droghe, sesso, alcol, lavoro, relazioni importanti (con Vera e con Carmen) e un figlio riesce a ripartire, a immaginare qualcosa oltre all’amore di una vita, iniziato nel corso dell’adolescenza, Sofia – terrorista emotiva della cellula Donne che Amano Troppo – invece sta sospesa e riappare. Ma più che per tornare ad amarlo, per costringere Rimini a un tunnel, a un calvario. Una storia d’amore cinica e folle, vissuta come un’opera d’arte (affascinante e mostruosa), è quella che prende forma, se ne descrivono gli orrori, gli errori, gli eccessi, è un sentimento cruento che non strizza l’occhio a nessuno, perché Pauls non bara e non si ferma al nocciolo elementare dei sentimenti. Intrecciandoli, ad esempio, a una implacabile riflessione sul tempo.
Né nobili principi né pietà
Gronda di citazioni artistiche e cinematografiche, questo romanzo che, tranne per le dimensioni, è una esemplare porta d’accesso al mondo narrativo di Alan Pauls. Come spesso accade, quando ci si immerge in un libro, ognuno ci leggerà quel che vuole, immedesimandosi nell’amore deleterio (le cui leggi, come si legge, non conoscono nobili principi né pietà), nei lacci indissolubili di un passato che torna sempre, nel trucido finale, che è metafora perfetta dell’amore come lo intendono Rimini e soprattutto Sofia, con le sue ossessioni e con la convinzione, vana, di poter conservare e ricordare la propria vita mediante tante fotografie.