“La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead è un romanzo che resterà. Spiega, con uno stile nitido e avvolgente, che schiavitù e razzismo non sono finiti e sono sempre più pericolosi, tramite la fuga di Cora, giovanissima schiava nera, da una piantagione di cotone
Un classico che ci terrà compagnia per molto tempo, che leggeranno i nostri figli e i nostri nipoti, che non potrà andare fuori catalogo (oddio, ne sono finiti di libri imprescindibili fuori catalogo…). Un romanzo che nemmeno i profeti più ottimisti aspettavano. E non si tenga conto di certo battage (Obama, Oprah, ecc), che l’ha lanciato in patria. Si badi semplicemente al sodo, a quello che Colson Whitehead è riuscito a creare – un mondo – in un tomo le cui dimensioni non devono spaventare, ma affascinare. Si è detto e molto scritto a proposito de La Ferrovia sotterranea (376 pagine, 20 euro), che ha fatto incetta di premi prestigiosi, che ha convinto voci autorevoli e ha fatto spellare le mani, a ragione, a critici di mezzo mondo, Italia compresa. Perché?
Denuncia dei mali e delle colpe del mondo
Probabilmente perché ci racconta che razzismo e schiavitù non sono finiti, nemmeno oggi, nel 2017, che continuano, a volte in altre forme, che denuncia le colpe e i mali dell’America (e quindi del pianeta), l’odio di uomini contro uomini (anche lo sterminio dei nativi), per i motivi più impensabili e meno razionali. Rimasto a “vegetare” quando è stato proposto da Mondadori ed Einaudi, Whitehead in Italia in certo senso è tornato a casa, da Cassini&Testa (traduttrice de La Ferrovia Sotterranea), alcune delle anime di Minimum Fax (che aveva pubblicato un altro libro di Whitehead, John Henry Festival su un altro black hero), da un po’ di tempo tornate a fare squadra… da un’altra parte.
Un’eroina già nella storia della letteratura
Cos’ha di speciale La Ferrovia Sotterranea? Non poche cose, ma di certo una figura femminile indimenticabile, che si staglia su tutte le altre e non solo di questo libro, che è già nella storia della letteratura. Cora, la protagonista, la giovane schiava in fuga da una piantagione di cotone, ha la stoffa di eroine che sono nell’immaginario collettivo: altro che zia Mame o Bridget Jones, Cora sta fra Clarissa Dalloway e Hester Prynne, fra Catherine Earnshaw e Ida de La Storia. Cora – che ha vissuto mille vite, pur giovanissima, a iniziare da stupri subiti e tentati suicidi – vuol spazzare via le catene, modificare la parabola della propria vita e decide di farlo con un compagno di sventura, Caesar.
Una miscela narrativa esplosiva
Sono loro a mettersi in testa di raggiungere l’«Underground Railroad», che da metafora Whitehead piega alle proprie esigenze narrative: quella che era la rete clandestina, appoggiata dagli abolizionisti, in difesa degli schiavi fuggiaschi, diventa strada ferrata, con binari e treni. Lo scrittore statunitense – al culmine di una produzione eclettica come poche – è riuscito a creare una miscela narrativa esplosiva, documentandosi certamente attraverso saggi, e leggendo tanta buonissima letteratura statunitense (Toni Morrison, per esempio). E poi ha messo del suo, scrivendo una specie di trattato, – non una favola, non una storia di fantascienza, non una storia d’avventura – sulla libertà che non c’è: esiste nella testa di Cora, che sfugge dal suo padrone e aguzzino Randall e da uno spietato cacciatore di schiavi, Ridgeway, ed esiste in chi legge, leggerà e consiglierà questo libro che ha lo stile nitido e avvolgente di un classico e affonda colpi come Mike Tyson. Impossibile mollarlo dopo solo qualche decina di pagine efferate e sanguinolente (quasi l’avvio di Salvate il soldato Ryan) e poi lungo i pericoli di spostamenti raminghi.
La vittoria di un editore
Whitehead vada fiero, infine, del super lavoro editoriale fatto da una casa editrice, come Sur, che continua ad andare per la sua strada, cercando di conquistare fette di mercato (non è una parolaccia, anche chi non è uno sfrenato neo o vetero liberista l’ha capito col tempo…) ma unicamente con la qualità. Il prodotto (già parola meno bella di mercato) è eccellente, la cura maniacale, l’impegno per diffonderlo capillare: uno sforzo collettivo, iniziato quando Sur ha scelto La Ferrovia Sotterranea prima di tutti e prima degli onori, che è giusto premiare non fermando il naso solo su La Ferrovia sotterranea, ma sue entrambe le anime di Sur – latinoamericano e anglofona – che nei prossimi mesi prevedono recuperi importanti (anche John Henry Festival dello stesso Whitehead) e novità di notevole interesse. (L’illustrazione di Colson Whitehead è di Francesco Lo Iacono)